da www.firstonline.info
Secondo il giurista Francesco Galgano sul ruolo degli Ordini ha già risposto la Corte di Giustizia europea e la liberalizzazione delle professioni sposta l’attenzione dai problemi centrali
“L’abolizione degli ordini? Voglio citare Voltaire, il quale si chiese se la libertà consiste nel fatto che il cuoco possa fare il monsignore e il monsignore possa fare il cuoco. La risposta è no, perché libertà è che ognuno faccia bene il suo mestiere. Invece chi credette in questa possibilità fu Lenin, secondo il quale in uno stato avanzato della società i ruoli sono intercambiabili. ”
Francesco Galgano, eminente giurista catanese in cattedra all’Università di Bologna dagli anni ‘70, avvocato, grande esperto di diritto civile e commerciale (a metà degli anni ’80 fece parte della commissione ministeriale per la riforma dello statuto dell’impresa) boccia senza appello l’ipotesi di abolizione degli ordini professionali tradizionali, prospettiva illiberale e dal sapore autoritario, già respinta dalla Corte di giustizia europea.
Secondo Galgano il tema viene affrontato in modo superficiale.
Si fanno delle discussioni, afferma, che dovrebbero presupporre la conoscenza di alcuni dati normativi. E non mi pare sia così.
Ecco che cosa ha detto a Firstonline.
Professore, secondo lei, con l’idea di abolire gli Ordini si rispolvera una questione già risolta a livello europeo?
La Corte di giustizia europea si è già pronunciata sul punto, sostenendo che sono da considerare illegittime quelle leggi che istituiscono ordini professionali che non rispondono ad esigenze di interesse collettivo e che sono solo un pretesto per concedere privilegi di casta. Per esempio gli spedizionieri doganali in Spagna o gli esperti di privative industriali. Ma quando la Corte di giustizia affrontò la questione degli avvocati cambiò orientamento e disse: finora ci siamo occupati di “pseudoprofessioni”, ma quando ci troviamo di fronte a professioni tradizionali come medico o avvocato ci sono interessi di ordine generale che vanno protetti, come la salute e la giustizia. Ecco qui, o vogliamo legittimare per esempio maghi e santoni? E le lenzuolate di Bersani che effetto hanno avuto? Nel decreto Bersani del 2006 si raggiunse un vero paradosso, scrivendo che le disposizioni deontologiche in contrasto con quella legge erano da considerarsi nulle. Si parlava di ‘liberalizzazioni’ e intanto si configurava un perfetto stato etico e autoritario. Non so chi suggerì quell’infelice formulazione all’allora ministro che di formazione mi pare sia filosofo e non giurista.
Non crede, però, che sia necessario uno snellimento delle procedure?
Io ho comprato recentemente una casa negli Stati Uniti e l’ho fatto via fax. Certo sembra uno snellimento, visto che da noi ci vuole il notaio e la trascrizione, ma quello che risparmi prima in tempo e soldi lo spendi poi in migliaia di assicurazioni e nel contenzioso successivo che è molto più alto. Gli americani sono dei selvaggi, noi abbiamo il catasto da quasi mille anni, loro non ce l’hanno. O meglio non ce l’hanno ancora.
Su Firstonline l’ex segretario generale dell’Antitrust, Alberto Pera, ha puntato il dito contro le esclusive delle prestazioni professionali. Cosa ne pensa? In sostanza contro farmacisti e notai. Ma è un attacco risibile. Per esempio i notai sono pubblici ufficiali e poi guadagnano meno che in passato, molti piccoli notai stentano persino a coprire le spese di studio.
Non crede che l’economia sia bloccata perché le imprese spendono troppo in professioni e balzelli?
No, non lo credo proprio. Il problema potrebbe avere un senso se le imprese si rivolgessero a professionisti che praticano tariffe minime. In reltà le imprese cercano i professionisti più cari. I valori contrattati sono mille miglia lontani dal minimo. Ci sono casi in cui ci si stupisce per l’enormità delle cifre che vengono chieste. Su questo ci sarebbe da discutere. Le tariffe degli avvocati vengono rapportate al valore della controversia. Si pensi alla causa di Berlusconi con De Benedetti per 560 milioni di euro, agli avvocati può spettare un compenso pari all’1% circa. In qualche arbitrato si è abusato di queste percentuali. Però ci sono anche esempi nobili, come quello dell’avvocato che difese la causa del Vajont. Egli ottenne un compenso di parecchi miliardi che girò interamente alle vittime del disastro. I professionisti spesso portano un valore aggiunto all’impresa di gran lunga superiore alla loro parcella, si pensi a Franzo Grande Stevens e alla Fiat.
Non crede che il sistema anglosassone, da molti invocato, sia migliore?
A me è successo di rappresentare un imprenditore italiano in una trattativa con un’impresa americana. L’incontro avvanne a Napoli. La controparte si presentò con 21 avvocati, ogununo dei quali conosceva solo una piccola parte del tutto. Mentre io, che avevo studiato l’intera questione, arrivai da solo con un ingegnere. Pensiamo davvero che quel sistema sia economicamente vantaggioso? Con 21 avvocati se ne faceva uno.
Non pensa che l’abolizione di ordini e barriere darebbe una spinta al lavoro, visto che i giovani non dovrebbero più superare concorsi controversi? Largo ai somari allora. Non si può pensare che la laurea sia sufficiente, che sia il biglietto vincente, la partita più grossa comincia dopo. L’università fornisce solo il bagaglio di conoscenze utili a entrare in campo.
Ma se, a suo avviso, la liberalizzazione delle professioni non serve, perché se ne parla tanto?
Non certo per ragioni di concorrenza, forse per dare la colpa a qualcuno.
Si sposta l’attenzione da problemi più gravi?
Probabilmente sì. Si pensi ad esempio al fatto che l’Europa politica non c’è. In ambito comunitario il diritto è più avanti dell’economia. Il grado di unificazione giuridica dell’Europa è più alto di quello dell’unificazione politica. Un’impresa italiana che vende in Germania ancora ‘esporta’, mentre un’impresa californiana che vende in Virginia non esporta, perché quello è mercato interno. In Europa non è ancora così.
E il peso della finanza?
Abbiamo visto i guai che ha combinato l’economia finanziaria che, come disse Obama, è illusione di ricchezza. Quando si perde il senso della proporzione fra economia reale e finanziaria si crea falsa ricchezza. L’economia finanziaria è ricchezza basata sulla speranza di un evento futuro, che può non avverarsi come è accaduto negli ultimi anni. Ricordo la risposta di un importante economista americano alla domanda: come mai le banche italiane hanno resistito di più alla crisi rispetto alle banche di altri paesi. La risposta fu esilarante, infatti disse: “perché le banche italiane sono più arretrate”. Evviva l’arretratezza allora.
Si può fare qualcosa di meglio?
Bisogna avere il coraggio di vietare operazioni di Borsa allo scoperto. Vale a dire che per compravendere un titolo dev’essere necessario consegnarlo effettivamente, questo ostacola la speculazione. Ma ci sono forti pressioni che impediscono di andare a toccare questi temi. Si pensi alla questione se si possano iscrivere all’attivo del bilancio i derivati finanziari. I giuristi pensavano assolutamente di no, ma la potente associazione delle agenzie di rating impose questa soluzione e l’Unione Europea non riuscì a contrastarla.