Cassazione civ. Sez. V, Sent., 02-04-2010, n. 8075
Imposta reddito persone fisiche, in genere
Imposta locale sui redditi – ILOR (in genere)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALTIERI Enrico – Presidente
Dott. BOGNANNI Salvatore – Consiliere
Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere
Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
D.E., L.C.G., D.A., D. R., D.V., B.A., rappresentati e difesi dall’avv. PREZIOSI CLAUDIO ed elettivamente domiciliati presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;
- ricorrenti -
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro in carica, e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO e domiciliati presso la sua sede in Roma, in via dei Portoghesi n. 12;
- controricorrenti -
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione 02, n. 280, depositata il 21 giugno 2007;
Svolgimento del processo
D.E., L.C.G., D.V., D. A., B.A. e D.R., soci della GENESI srl impugnarono gli avvisi di accertamento, ai fini dell’ERPEF e dell’ILOR, con i quali venivano determinati redditi maggiori rispetto a quelli dichiarati da ciascuno per gli anni 1994, 1995 e 1996, sulla base della capacità di spesa e del contenuto induttivo di elementi e circostanze di fatto certi, valutati ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4 e 5, facendo applicazione del D.M. 10 settembre 1992, e del D.M. 19 novembre 1992.
Il giudice di primo grado annullava “gli accertamenti sintetici… nei punti in cui era risultata giustificata documentalmente la provenienza delle disponibilità patrimoniali”.
La Commissione tributaria regionale della Campania con la sentenza in epigrafe accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Avellino, ritenendo che la legittimità degli accertamenti trovasse conforto nella corretta utilizzazione degli elementi e delle circostanze di fatto dai quali era stata desunta l’esistenza di maggiori redditi rispetto a quelli dichiarati, nonchè nel fatto che le prove addotte dai contribuenti erano insufficienti e poco convincenti per contrastare la valenza probatoria della presunzione dell’ufficio.
Non era stata infatti esibita copia del libro dei verbali del consiglio di amministrazione della srl GENESI onde verificare se il verbale del 10 maggio 1997 vi risultava incluso e se era stato rispettato l’ordine cronologico di registrazione delle adunanze e delle deliberazioni; nè era stato esibito il bilancio della società; “le operazioni indicate nel libro giornale ed in particolare quelle descritte nel conto soci c/anticipazioni – poi – non rivelavano nulla di concreto e di determinante, visto che alcune… sono imputate a un non ben individuato socio D. ed in altre vi è riferimento ad anticipazioni senza individuare i nominativi dei singoli soci che vi hanno provveduto. La carenza delle prove fornite dai contribuenti impone il convincimento che i finanziamenti sono frutto di disponibilità non dichiarate dei singoli soci e, quindi, sottratte a tassazione”. In particolare, i redditi dichiarati negli anni dal 1976 al 1983 per un totale di L. 199.741,000 da D.E., socio amministratore e maggior finanziatore della società, non erano tali da consentire l’accantonamento di notevoli somme se depurati dalle spese di sostentamento suo personale e del nucleo familiare, nè era stato dimostrato che egli “disponesse di un patrimonio titoli di L. 650 milioni “.
Gli accertamenti erano stati pertanto ritenuti “legittimi in conseguenza della corretta utilizzazione degli elementi e delle circostanze di fatto dalle quali l’ufficio ha desunto l’esistenza di maggiori redditi rispetto a quelli dichiarati dai contribuenti che, per contrastare la valenza probatoria delle presunzioni assunte hanno addotto prove insufficienti e poco convincenti essendo scarsamente documentate”.
Nei confronti della sentenza i contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate resistono con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i contribuenti, denunciando, in riferimento allo “art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Violazione o falsa applicazione dell’art. 2711 c.c., nonchè del combinato disposto degli artt. 2718, 2719, e 2700 c.c.. Motivazione omessa circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, assumono, per un verso, che il giudice d’appello avrebbe subordinato la portata dimostrativa del verbale di assemblea della società, del 10 maggio 1997 alla esibizione del libro delle adunanze nella sua interezza, laddove l’efficacia probatoria di libri e scritture contabili societarie, ai sensi dell’art. 2711 c.c., ben potrebbe essere circoscritta ai fatti rappresentati nella copia parziale e/o nell’estratto del libro e/o della scrittura contabile; e per altro verso, che la copia parziale o l’estratto di scrittura certificata conforme dal pubblico ufficiale fa piena prova, fino a querela di falso delle circostanze attestate.
Lamenta poi emessa motivazione in ordine alla circostanza che la autenticazione notarile della copia del detto verbale di assemblea dava atto della sua inclusione nel libro delle assemblee e del rispetto dell’ordine cronologico di registrazione di adunanze e deliberazioni.
Col secondo motivo, denunciando, in riferimento allo “art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Violazione o falsa applicazione degli artt. 2718, 2719 e 2712 c.c., in relazione agli artt. 214 e 215 c.p.c.”, i ricorrenti sostengono che “negando qualsiasi valenza probatoria al verbale di assemblea” detto, la sentenza impugnata avrebbe violato le norme in rubrica, secondo le quali “la copia parziale e/o l’estratto di scrittura fanno piena prova dei fatti e delle cose ivi rappresentate, limitatamente alla parte dell’originale che riproduce letteralmente, se la parte che vi ha interesse la disconosca soltanto nella successiva sede dell’impugnazione”.
Con il terzo motivo, denunciando in riferimento allo “art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 4, in relazione al combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 5, comma 1, n. 2, e art. 39, comma 2, lett. b), nella formulazione vigente prima delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, nonchè dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 97 Cost.”, i ricorrenti si dolgono che il giudice d’appello abbia ritenuto inidonee a contrastare la presunzione postulata dall’ufficio le prove offerte da essi ricorrenti, anche per aver emesso di esibire in giudizio il bilancio della srl, laddove la mancata esibizione di tale atto non poteva essere contestata ad vai soggetto IRPBG, che, secondo le norme in rubrica, lo aveva necessariamente allegato alla dichiarazione dei redditi, sicchè esso era già in possesso dell’ufficio, ed onere del contribuente non era in proposito quello della prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., ma solo quello dell’allegazione dei fatti da quel bilancio comprovati.
Con il quarto motivo, denunciando in riferimento allo “art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2727 e 2729 c.c.; art. 115 c.p.c.”, lamenta che il giudice non abbia complessivamente valutato tutti gli elementi presuntivi dotati di positiva valenza indiziaria onde accertare la loro concordanza e siano idonei a fornire una valida prova, e che abbia escluso ovvero non considerato la rilevanza di taluni elementi noti che avrebbero potuto essere assunti a fonte di presunzione.
Con il quinto motivo, denunciando in riferimento allo “art. 360 c.p.c., n. 5. Motivazione emessa o comunque insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, si duole siano state completamente trascurate o erroneamente valutate le numerose risultanze istruttorie di segno contrario, per quanto legittimamente acquisite al processo, individuate nel detto verbale di assemblea del maggio 1997 e in scritture del libro giornale, relative ad anticipazioni dei soci ed a restituzioni.
Con il sesto motivo, denunciando in relazione allo “art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in relazione al D.M. 10 settembre 1992, e D.M. 19 novembre 1992″, i ricorrenti lamentano che siano stati indebitamente utilizzati tra gli indici di spesa applicativi del c.d. redditometro le assicurazioni sulla vita regolarmente portate in deduzione nelle dichiarazioni dei redditi relative alle annualità di riferimento e le spese sostenute facendo ricorso a fonti di finanziamento esterne previa assunzione di futuri obblighi di restituzione.
Il ricorso è infondato.
Come è stato più volte affermato da questa Corte, l’accertamento del reddito con metodo sintetico, effettuata in base ai coefficienti presuntivi individuati dai decreti ministeriali previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, (nel caso di specie i D.M. 10 settembre 1992, e D.M. 19 novembre 1992), non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione (D.P.R. n. 600 del 1972, art. 38, comma 6) che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore, in quanto siffatte presunzioni (quelle, cioè, poste dal c.d. redditometro) sono soltanto relative e non assolute (Cass. n. 11300 del 2000, n. 20588 del 2005,n. 17202 del 2006).
Di tali principi la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione, e va perciò assolta dagli addebiti di carenze motivazionali e di violazione di legge formulati con il primo, il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi.
E’ stato infatti dato conto, in modo coerente e circostanziato, della ritenuta inidoneità “a contrastare la valenza probatoria delle presunzioni assunte” dall’ufficio delle prove offerte dai contribuenti perchè “insufficienti e poco convincenti, essendo scarsamente documentate”.
Quanto al verbale del consiglio di amministrazione della srl GENESI del 10 maggio 1997, prodotto in copia autentica, non ne è stata affatto contestata l’efficacia probatoria in sè; esso è stato, invece, ritenuto da solo, non inserito cioè nella sequenza cronologica, nonchè logica, delle deliberazioni assunte nelle adunanze della società, insufficiente e inidoneo, insieme con gli altri elementi offerti, a contrastare l’accertamento dell’ufficio – nè, peraltro, risulta sia stata ordinata dal giudice l’esibizione in giudizio del libro delle adunanze.
Tra gli elementi offerti dai contribuenti sono stati individuati quelli rilevanti; ed è stata adeguatamente motivata la genericità e la insufficienza di quanto emergeva dalle “operazioni indicate nel libro giornale ed in particolare quelle descritte nel conto soci c/anticipazioni”, perchè “non rivelavano nulla di concreto e di determinante, visto che alcune sono imputate a un non ben individuato socio D. ed in altre vi è riferimento ad anticipazioni senza individuare i nominativi dei singoli soci che vi hanno provveduto”;
si è rilevato come l’entità dei redditi dichiarati dall’amministratore D.E. dal 1976 al 1983 non era tale da consentire l’accantonamento di somme notevoli, una volta depurata delle spese per il sostentamento suo e della famiglia; e si è ritenuto non dimostrata la asserita disponibilità da parte dello stesso D.E. di un patrimonio titoli di L. 650 milioni.
In tale quadro, la mancata esibizione del bilancio, da ritenersi già in possesso dell’ufficio, perchè allegato alla dichiarazione dei redditi, non appare pertanto decisiva (terzo motivo del ricorso).
Il sesto motivo del ricorso, concernente la non utilizzabilità come indici di spesa per il c.d. redditometro delle assicurazioni sulla vita e dei finanziamenti esterni, è inammissibile, perchè privo del requisito dell’autosufficienza.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 8.000,00, ivi compresi Euro 200,00, per esborsi.